6 maggio 2016

Dichiarazione di fallimento e trasferimento della sede all’estero: ultimi chiarimenti giurisprudenziali

Memory n. 133 del 06.05.2016 a cura di Alessandro Borghese e Mauro Muraca

L’imprenditore commerciale privato, qualificabile come non piccolo (art. 1 del R.D. n. 267/1942), può essere dichiarato fallito, qualora si trovi in stato di insolvenza. La relativa sentenza è pronunciata dal tribunale della circoscrizione nella quale il debitore risulta avere stabilito la sede principale della propria impresa (art. 9 L.F.) Più precisamente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 17.2.2016 n. 3059, hanno stabilito che: i) nella procedure fallimentari è competenza del giudice dello Stato in cui viene costituita una società determinarne la sede effettiva; ii) il giudice italiano può dichiarare il fallimento della società già costituita in Italia qualora il trasferimento all’estero si riveli fittizio; iii) va revocato il fallimento dichiarato in Italia qualora sussista l’effettivo svolgimento dell’attività nella sede legale presso lo Stato estero anche nell’ipotesi in cui il trasferimento all’estero sia avvenuto nell’anno antecedente. Non rileva, invece, l’eventuale trasferimento di tale ubicazione, nell’anno anteriore all’esercizio dell’iniziativa per la declaratoria dell’insolvenza, né quello fittizio all’estero, come chiarito anche dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 20144/2011). Secondo una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (Cass. SS.UU. 18.3.2016 n. 5419) permane la giurisdizione del giudice italiano e può essere dichiarato il fallimento della società che trasferisce all’estero la sede legale, senza effettivo spostamento in quello Stato del centro principale di interessi, dovendosi aver riguardo soprattutto al luogo in cui: i) effettivamente si forma la volontà dell’ente ed; ii) abitualmente si trovano ed operano i soggetti dai quali tale volontà promana in concreto.
Categorie:Giurisprudenza
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