L’accertamento degli utili extrabilancio provenienti da società di capitali a ristretta base partecipativa: il punto della situazione

La tematica degli accertamenti “per trasparenza” in capo ai soci degli utili extrabilancio delle società di capitali a ristretta base societaria nasce soprattutto come conseguenza della natura del tessuto economico del nostro paese, la cui trama, densa di piccole imprese, va a incidere direttamente sulla notevole estensione del fenomeno in commento. La massiccia presenza di piccole società di capitali (anche nella forma meno evoluta delle società a responsabilità limitata semplificata), sovente riconducibili a gruppi familiari (o soggetti legati comunque da vincoli particolari), o addirittura a un singolo socio, non può che portare all’emersione di fenomeni evasi caratterizzati dall’incasso in capo ai soci dei ricavi in nero, realizzati per il tramite societario. E’ chiaro infatti che le entrate aziendali “non fiscalizzate” solitamente sono gestite e poi veicolate ai soci dagli amministratori (solitamente soci pure loro). Ecco allora il perché viene a inserirsi, “a valle” rispetto l’accertamento in capo alla società, di una presunzione di natura puramente giurisprudenziale, che non trova riscontro nel vigente corpus giuridico tributario, ma che viene applicata in maniera sistematica dagli uffici controlli dell’Agenzia delle Entrate. Fu la Corte di Cassazione, che dai primi anni duemila stabilì la possibilità di effettuare un collegamento presuntivo tra il maggior reddito accertato alla “piccola” società di capitali e il maggiore imponibile tassabile in capo ai soci, senza la necessità che debba essere dimostrata la materiale percezione. Come si vedrà, la grezza presunzione posta a base dell’accertamento in commento presta il fianco a numerose critiche e fornisce lo spunto per precisi elementi difensivi.