16 gennaio 2014
Anche gli studi di settore si adeguano alla crisi
Il Fatto e il Diritto n. 1 del 16.01.2014 a cura di Valeria Fusconi
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E’ nullo l’accertamento fiscale basato sulle risultanze dello studio di settore se lo scostamento dallo standard ed il comportamento antieconomico dell’imprenditore è dettato dalla crisi. Così afferma la Commissione Tributaria Regionale di Bari nella sentenza n.247/23/2013 dell’11.10.2013, ma sono ormai sempre più numerose le pronunce che tengono conto della difficile situazione economica in generale e di quella particolare del settore in cui concretamente opera il contribuente. Come ha ricordato la Corte di Cassazione nella “storica” sentenza n. 17229/2006, la procedura di accertamento tributario mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standars in se’ considerati, ma trae forza e legittimazione dal confronto fra il modello (lo studio di settore) e la concreta realtà economico-lavorativa del contribuente. Quindi lo studio di settore, più che realizzare una inversione dell’onere della prova, agevola le incombenze probatorie dell’ufficio su cui continua però a gravare l’obbligo di motivare l’atto impositivo e di fornire la prova della rettifica operata. E’ di tutta evidenza, inoltre, che se il settore economico in cui opera il contribuente è in crisi, anche le risultanze dello studio devono tenerne conto sia negli esiti contabili della metodologia che in occasione del contraddittorio, in modo da conferire alla presunzione semplice recata dallo studio quei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge. A tal proposito, come ci ricorda un’interessante recente sentenza di merito (CTR Palermo, n. 335 del 17.10.2013), l’ufficio finanziario, quando rileva uno scostamento fra la dichiarazione e lo studio di settore, deve tenere conto nel suo accertamento delle documentate scusanti fornite dal contribuente in occasione del contraddittorio, confutando punto per punto le giustificazioni addotte, pena l’illegittimità dell’atto impositivo: dunque, il contraddittorio deve essere “reale” e non solo “apparente”. Non deve, cioè, atteggiarsi a formale rispetto di una fase procedimentale obbligatoria, ma priva di sostanza argomentativa perché è solo attraverso il contraddittorio che si opera il passaggio dal piano delle categorie generali e astratte degli studi di settore a quello singolare e concreto dell’accertamento della capacità contributiva effettivamente manifestata dal singolo contribuente.
Categorie:Giurisprudenza – Studi di Settore
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